18 ottobre 2018

Team Albatros: Eva Baldessin #1

Da oggi inauguriamo una nuova rubrica, Team Albatros, per farvi conoscere un po' meglio le nostre atlete. La prima a rompere il ghiaccio è il capitano della Serie C, Eva Baldessin, che è arrivata quest'anno nella nostra società e che scende in campo col numero 1. Buona lettura!

Sabato c'è stata la prima partita del campionato, subito con un'avversaria molto "tosta": che commento puoi fare della partita?
Sicuramente sensazioni positive: è stata una partita molto combattuta contro una buona squadra, abbiamo lottato e non mollato nonostante le avversarie ci abbiano messo molta pressione in battuta, abbiano fatto valere i centimetri a muro e un gran carattere su ogni pallone. Credo che come inizio sia stato, almeno per me, divertente ed entusiasmante, anche se si sa che alla prima di campionato non sempre la prestazione è brillante. Dobbiamo ancora smaltire i carichi e sistemare gli automatismi di squadra, soprattutto in ricezione. Ma insomma, c'è un ottimo margine di miglioramento e buoni presupposti per divertirsi!

Ci puoi raccontare la tua carriera pallavolistica fino ad oggi? 
Ho iniziato a giocare relativamente tardi, al secondo anno di Under 16. Venivo da tutt'altro mondo, quello del nuoto, e inizialmente la pallavolo è stata un ripiego: tutte le mie amiche giocavano e a Codognè, si sa, è sempre stato un sport totalizzante per le ragazze. L'inizio non è stato facile soprattutto per il cambiamento radicale di mentalità: venivo da 10 anni di sport individuale, che in realtà mi rappresentava al massimo. Ho avuto la fortuna non solo di avere una società estremamente solida e seria alle spalle, dove il settore giovanile (mai selezionato) è sempre stato molto competitivo in regione e dove la prima squadra per anni ha militato tra B1 e B2, ma anche fior di allenatori che mi sono stati letteralmente addosso! Da lì ho iniziato, sono stata a Codognè per 8 meravigliosi anni, ho finito le giovanili ed esordito in prima squadra nella stagione 2008/2009, passando per B1, B2 e C. Ho deciso di cambiare aria, per provare a mettere il naso fuori di casa e mettermi in discussione in ambienti nuovi nella stagione 2014/2015 giocando a Salgareda in Serie C, quella successiva a Fontane in B2 e poi ho trascorso gli ultimi due anni a Belluno, il primo facendo promozione da C a B2 e l'ultimo, appunto, in B2. Ed eccomi qua!

Secondo te, cos'è davvero importante per vestire il ruolo di capitano?
Bella domanda! Mi ritengo abbastanza di "vecchio stampo" e non perchè io sia vecchia, ma perchè sono cresciuta pallavolisticamente con gente di altre generazioni, con un'inquadratura mentale notevole! Capitano per me è sicuramente un leader dentro ma soprattutto fuori dal campo: non è colui che fa 25 punti a partita, ma colui che cerca sempre di dare l'esempio di carattere, diligenza, educazione, rispetto e affidabilità, sia da un punto di vista umano che, ovviamente, tecnico. Deve essere a disposizione della squadra, a servizio della squadra direi. E' anche la colui che fa da tramite tra allenatore e spogliatoio ed è un compito, a mio avviso, non necessariamente ingrato: mediazione credo sia la parola chiave e, insieme alla comunicazione, sono l'unica via per risolvere i problemi. Negli anni ho sempre spronato le mie compagne a parlare, parlare tanto... è l'unico modo per uscire da situazioni spiacevoli. Questa è sicuramente la mia idea di capitano, quello che io penso e cerco (dentro di me) di fare... sono consapevole di non riuscirci sempre, ma ci provo!!!

Tu sei un centrale: qual è la caratteristica principale di questo ruolo?
Beh, scontato dire il muro! Non è di certo il mio fondamentale migliore!! Ma si fa quel che si può, ci sono mille modi per essere utile alla squadra: i centrali murano, certo, ma attaccano e battono... e se magari difendono qualche pallone ed evitano qualche doppia è sicuramente un valore aggiunto!

Che consiglio vorresti dare alle atlete più giovani?
Dedizione! Non voglio generalizzare, ma negli ultimi anni mi sono confrontata con compagne davvero molto giovani, di tutt'altra generazione. La difficoltà maggiore che ho avuto è stata quella di trasmettere loro cosa voglia dire la parola rispetto e, soprattutto, far capire perché tale parola sia così importante. L'educazione non passa mai di moda; credo, inoltre, che nessuno di noi (a prescindere dall'età) venga in palestra tanto per passare per il tempo, soprattutto in categoria: è necessario rendersi conto di questo, che ci sono delle regole precise da seguire, anche morali. Forse quando avevo io la loro età, 17/18 anni, il nonnismo era fin eccessivo: avevo compagne di oltre 30 anni che scendevano dalla A2, quasi non mi azzardavo al alzare lo sguardo. Ora mi rendo conto che forse era troppo, ma mi è servito soprattutto a livello umano, a diventare la persona che sono, a non mollare un centimetro anche se ho delle carenza tecniche notevoli. Tornando alla prima parola, dedizione, è fondamentale che i giovani si rendano conto che sport è fatica, che nessuno ci regala niente, che se non siamo noi i primi a volere qualcosa, beh, di certo non lo faranno gli altri per noi. La classica frase "palestra scuola di vita" è vera: non sono un fenomeno e sono sempre stata consapevole di questo, ma qualche soddisfazione me la sono tolta a livello sportivo. Credo, però, che la vittoria più grande l'abbiano ottenuta i miei genitori: in generale, lo sport mi ha sicuramente reso la persona che sono, mi ha formato prima come singolo (il nuoto), mi ha insegnato quali sono i miei limiti e i miei punti di forza, mi ha insegnato come cavarmela da sola senza che mamma e papà mi risolvessero i problemi... e poi la pallavolo, certo, lo spirito di squadra, la condivisione e tutto quanto detto sopra. E' inspiegabile come tutto questo, a distanza di anni, sia diventato una droga. Nonostante dolori, delusioni, infortuni, voglia di fare altro, impegni e sacrifici. Di questa droga non riesco ancora a farne a meno!!



Team Albatros: Eva Baldessin #1
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